1889-1952
Pietro Aschieri nasce il 26 marzo 1889 a Roma da Emilio e Emma Crispi. La famiglia è composta anche dalla sorella Clotilde, che diventerà in seguito segretaria presso l’Istituto dell’Enciclopedia Italiana diretto da Giovanni Gentile. Acquisisce dimestichezza nelle arti grafiche sotto la guida del padre scultore che ha la propria attività negli atelier di via Margutta e insegna disegno in diverse scuole tecnico-industriali della capitale. Il 23 dicembre 1913 si laurea in ingegneria civile presso la Scuola di Applicazione di Ingegneria avendo come relatore Giovanni Battista Milani, con il quale collabora già nel suo studio professionale. La sua formazione accademica, improntata sulla lezione di Guglielmo Calderini, si svolge nel culto della classicità e vede nell’esercizio stilistico e nella conoscenza dei modelli del passato la definizione della propria grammatica progettuale. L’inserimento nell’universo culturale capitolino è rafforzato dall’iscrizione, nel marzo 1914, all’Associazione Artistica fra i Cultori di Architettura di Roma. All’interno dell’AACAr partecipa a dibattiti e ai lavori promossi per la revisione del piano regolatore della città allora in vigore, e tesse relazioni con i coetanei Vittorio Morpurgo, Guido Zevi, Giacomo Giobbe e Mario De Renzi. A ciò si aggiunge la nomina di “assistente volontario”, assieme a Morpurgo, presso la Scuola di Applicazione per Ingegneri nei corsi di Elementi di fabbriche, Architettura generale e Architettura tecnica tenuti da Gustavo Giovannoni e Milani, grazie ai quali ha la possibilità di studiare da vicino, durante le visite con gli studenti, diverse opere nella capitale, spaziando dalle rovine romane agli alloggi popolari di Quadrio Pirani a San Saba, fino alla costruenda ala del Parlamento di Ernesto Basile.
La prima affermazione avviene a giugno 1914 con la vittoria del Pensionato Stanzani e con la supervisione di Tullio Passarelli durante il periodo finanziato dalla borsa. Altri elementi fondamentali per la crescita dell’ingegnere sono l’attenzione rivolta al “gusto Seccessione” presente in alcuni studi giovanili, dove la linea morbida e sinuosa delle decorazioni florali si fonde armonicamente con la gravità degli edifici romani e la vicinanza al mondo artistico romano, sia per inclinazione artistica dovuta agli insegnamenti paterni sia per le occasioni progettuali. Nella mostra per il venticinquennale dell’AACAr nell’aprile 1915 partecipa con un progetto di un cinematografo estivo, accolto favorevolmente da Oppo per «l’influenza moderna tedesca». La mostra è immaginata a latere della III Mostra della Secessione Romana, allestita dal giovane Marcello Piacentini, al termine della quale Aschieri acquista due dei cinque quadri esposti di Pasquarosa Marcelli Bertoletti. «L’episodica della vita di Aschieri è brillantissima e singolarissima – ricorda Roberto Marino – solo in parte è dovuta ad una singolarità personale. L’architetto di considerava ancor più un artista che un tecnico». La frenetica vita culturale si interrompe il 1° ottobre quando Aschieri parte in servizio volontario in guerra e si arruola nella IV Armata del Genio Militare, rimanendo al fronte per tre anni e concludendo il servizio con il grado di tenente.
Tornato definitivamente nella Capitale si iscrive all’Associazione Artistica Internazionale di Roma e continua la frequentazione con l’AACAr nella commissione di ricostruzione della città dopo i danni bellici. Il primo studio è condiviso con Vincenzo Gregoretti in via S. Nicola De’ Cesarini 42 a Roma. La sede della sua attività professionale autonoma viene poi spostata, almeno fino al 1927, in via Garofalo 5/A e, fino al 1931, in via degli Scipioni 283. Nel 1920 si iscrive ai Fasci Italiani di Combattimento e prende parte alle iniziative dell’AACAr per lo sviluppo di Ostia Nuova con l’elaborazione di un villino. L’attività didattica si struttura con la promozione ad “assistente”, dal 1921 al 1924, per il corso Caratteri degli edifici tenuto da Milani.Nonostante l’attiva partecipazione nella cultura architettonica romana, la prima segnalazione arriva solo nel 1922 grazie al progetto presentato al concorso per il Monumento e Ossario per il cimitero del Verano a Roma. L’interesse per gli allestimenti teatrali, influenzata indirettamente dalla febbrile attività di Anton Giulio Bragaglia, comincia a manifestarsi nelle scenografie per gli spettacoli che nel 1923 si svolgono allo Stadio Imperiale del colle Palatino.
Negli anni 1923-1925 Aschieri intraprende una collaborazione con Amerigo Bandiera che lo porta a dare forma alla nuova campagna romana e alle sue espansioni lungo la costa tirrenica. All’interno di questo filone progettuale realizza la casa del Guardiano a Fregene nel 1925 nella quale il peculiare utilizzo degli elementi architettonici in chiave ironica emerge già con profonda chiarezza e raffinata lucidità. Allo stesso tempo Aschieri partecipa assiduamente ai concorsi segnalati dall’AACAr, dove ha la possibilità di esprimere il proprio gusto storicista e “misurare sul campo” la lezione giovannoniana della composizione degli spazi urbani: nel 1924 a Roma, per la testata del Ponte Vittorio Emanuele II; a Bologna, per il monumento ai caduti nel cortile del palazzo del Podestà; nel 1925 a Verona, per il ponte della Vittoria. Il 7 maggio dello stesso anno sposa la trentina Romana Conter, detta Nella, che lavora come impiegata presso la tipografia Bestetti & Tumminelli, mentre l’anno dopo nasce l’unico figlio Franco. Ormai membro regolare della Commissione per l’Edilizia del Governatorato di Roma insieme a Giovannoni, deve attendere il 1926 per i primi importanti riconoscimenti: assieme a Luigi Ciarrocchi, Mario De Renzi, Mario Marchi, Costantino Vetriani e Giuseppe Wittinch costituisce il gruppo Aschieri, partecipa e vince ad ottobre il concorso per il quartiere dell’artigianato e, in seguito, il concorso per il palazzo delle Corporazioni, entrambi a Roma. La capacità di fondere tra loro proposte di derivazione extra-nazionale con una monumentalità distaccata e priva di retorica consacra il progettista come uno dei più promettenti nell’ambito romano, grazie anche ad una capacità grafica fuori dal comune. «C’erano buoni disegnatori a quell’epoca, Fasolo, Limongelli, Del Debbio, ma nessuno come Aschieri» ricorda Marino. Se la costruzione dei propri progetti continua ad essere un miraggio, anche la collaborazione con gli altri progettisti non accenna a diminuire: nel 1927 propone diversi piani urbanistici seguendo la prassi del lavoro collettivo: insieme a Giovannoni, Giuseppe Boni, Vincenzo Fasolo, Giacomo Giobbe,Enrico Del Debbio, Ghino Venturi, Felice Nori e Alessandro Limongelli forma il gruppo “La Burbera” per la controversa espansione e sistemazione urbana per Roma, presentata nel 1929. Con gli ultimi tre e Pietro Lombardi partecipa in primavera al concorso per il piano regolatore di Milano e a dicembre risulta vincitore, insieme a Venturi, Giuseppe Gennari e Roberto Pisa al concorso per il piano regolatore di Brescia. Un personaggio non secondario è Marcello Piacentini, in chiara ascesa presso le gerarchie fasciste nel controllo e nella gestione della politica architettonica del paese, che – in qualità di rivale o giudice di Aschieri – ha modo di ammirare le soluzioni per la valorizzazione dei centri storici o l’elegante composizione di architetture dal gusto moderno; stima che sarà riproposta negli anni successivi e si manterrà costante – nonostante alterne vicende – fino alle fine.
Nel 1928 Aschieri è chiamato da Roberto Papini nel Museo Artistico Industriale a Roma fino al 1930 per il corso di Architettura (al suo posto verrà in seguito invitato Giovanni Michelucci). Il critico toscano, in qualità di soprintendente alle gallerie e alle opere d’arte medievali e moderne per il Lazio, aveva selezionato il progetto del quartiere dell’artigianato tra le opere italiane da esporre alla mostra dell’abitazione presso l’Esposizione del Werkbund a Stoccarda nel 1927. In aprile partecipa insieme a Del Debbio al Primo Congresso Nazionale degli Studi Romani con un breve saggio sulle zone di espansione delle città moderne, dove tenta di teorizzare il proprio metodo progettuale sviluppato nei concorsi degli anni precedenti. Sempre nell’aprile del 1928 inizia la proficua collaborazione con la Società Anonima Aquila Romana di cui diventa il progettista ufficiale e il direttore dei lavori; in questo modo Aschieri ha la possibilità di fissare le proprie idee e di sperimentare un codice linguistico che troverà una sua riconoscibilità negli anni successivi e che sarà determinante nella definizione della “palazzina romana”. Portoghesi infatti nota che «le stesse attribuzioni “discusse” case se non di Aschieri ispirate da Aschieri, dimostrano come il “segno” sia entrato in circolo perché aveva una sua evidenza». Per conto della Società progetta due palazzine in via Reno e due villini in via Poerio, entrambi a Roma. Partecipa insieme a Giobbe anche al concorso per il palazzo delle poste e dei telegrafi a Napoli, rinunciando a presentarsi per il secondo grado, poi vinto da Giuseppe Vaccaro.
Nel 1929 progetta e realizza diverse palazzine a Monteverde sia per la Società Aquila Romana che per una committenza privata. Il pastificio Pantanella gli affida la cura artistica dei suoi stabilimenti a Porta Maggiore e il risultato formale consacra il progettista come uno dei più accreditati fautori del rinnovamento architettonico romano. In occasione del XII Congresso Internazionale delle abitazioni e dei piani regolatori realizza alcune case modello alla Garbatella e progetta la palazzina Vergili ai Parioli, nota per essere stata la residenza di Galeazzo Ciano e Edda Mussolini.
Nel 1930 intraprende una breve collaborazione con la ditta Federici nelle palazzine ai Parioli e progetta per conto dell’ing. De Salvi la celebrata abitazione in piazza della Libertà a Roma. Per l’Associazione Nazionale Mutilati e Invalidi di Guerra (ANMIG) realizza la casa di lavoro dei ciechi di guerra nel quartiere Trieste, la cui inaugurazione, avvenuta il 9 novembre 1931, vede la presenza di Benito Mussolini e Carlo Delcroix. Il ruolo in questo ente si struttura in una consulenza edilizia costante per alcuni edifici dell’associazione: una palazzina in Lungotevere Michelangelo nel 1935 viene progettata e costruita Roma e diversi edifici a Ravenna e a Salerno sono edificati sotto la sua supervisione. La fortuna critica intorno alla facciata del Pastificio Pantanella è senza dubbio una delle ragioni che lo spingono a partecipare, nel settembre 1930, al XII Congresso Internazionale degli architetti a Budapest con un breve saggio sull’architettura industriale.
Nel 1931 allestisce gli interni della prima Quadriennale Nazionale d’Arte al Palazzo delle Esposizioni. La sincera adesione alle istanze di rinnovamento della progettazione, e della sua credibilità, in chiave moderna, presso il più ampio rinnovamento celebrato dal regime, lo porta ad iscriversi a febbraio 1931 al Movimento Italiano Architettura Razionale (MIAR); partecipa alla Seconda Mostra di Architettura Razionale presso la Galleria Bardi di via Veneto e prende parte al dibattito per la definizione di un’architettura di stato, scatenato dalla pubblicazione, da parte di Piero Maria Bardi, della “Tavola degli Orrori”. Amico personale di Margherita Sarfatti e Roberto Papini, legato a Giuseppe Capponi ed Enrico Del Debbio, Aschieri rappresenta l’elemento mediatore, per codice progettuale e affiliazione, tra la generazione di Libera, Piccinato e Minnucci e la “vecchia guardia”, più eterogenea della prima, di cui fanno parte gli architetti istituzionalizzati negli apparati del regime come il Sindacato Nazionale Fascista Architetti e l’Accademia d’Italia. La sua nomina a Incaricato Nazionale del Sindacato a luglio 1931 è dunque uno degli atti di distensione la resa dei conti nella cultura architettonica italiana, consacrandone di fatto il punto più alto – come sottolinea Fiore – del personale apporto nella formazione della architettura moderna in Italia e l’inizio di un suo progressivo isolamento.
Terminata la costruzione delle palazzine in via Nicola Fabrizi 11/a in zona Monteverde si riserva l’ultimo piano per l’appartamento di famiglia e qui stabilisce definitivamente lo studio professionale; un ulteriore alloggio è comprato dalla sorella Clotilde. L’intensa attività con l’Aquila Romana si chiude con la palazzina costruita in piazza Trasimeno. Nell’aprile 1932, presso l’Istituto Fascista di Cultura a Roma di Giovanni Gentile, tiene una conferenza sugli aspetti monumentali dell’architettura moderna, esplicitando ancora una volta la cifra particolare della sua poetica. Lo stesso mese è chiamato da Marcello Piacentini per la progettazione della Facoltà di Chimica all’interno della realizzazione della Città Universitaria di Roma: la sua partecipazione si rivela scostante e problematica a tal punto che la costruzione, inaugurata il 31 ottobre 1935, non solo subisce profondi cambiamenti rispetto al disegno originale, ma prevede una vera e propria esautorazione, seppure per un periodo limitato, del suo stesso autore. Aschieri, definito da Giovannetti come un «chamrimg boy romanticamente dissipato», sembra oramai in grado di esercitare la propria influenza in qualità di giudice piuttosto che di professionista. È presente nelle commissioni per il concorso per la casa del fascio “tipo” a Bologna, dove vengono premiati – grazie anche alla presenza di Giuseppe Pagano – i giovani Ernesto Nathan Rogers ed Enrico Peressutti; per il concorso delle chiese dell’arcidiocesi di Messina; del palazzo dell’Economia Corporativa a Teramo nel 1933; della stazione ferroviaria di Venezia nel 1935; della Casa Littoria a Roma nel 1937 e del piano regolatore di Pomezia nel 1938. In virtù della sua posizione sindacale collabora insieme al Direttorio della Triennale per la organizzazione della Mostra Internazionale di Architettura all’interno della V Edizione a Milano. In questa dimensione respira un’aria di rinnovamento che sente di non appartenergli più, per ragioni di tempo e di formazione culturale. Così si rivolge alla moglie: «Cara Nella, Milano è una città splendida che mette l’attività addosso anche a me! (…) Qui si vive. A Roma si veglia».
Come sottolineato da Francesco Paolo Fiore, Aschieri - privo della carica morale e dei contatti internazionali dei razionalisti dell’area milanese, della committenza più libera e disinvolta delle città industriali del settentrione, vicino per formazione ed amicizia agli accademici romani più in auge – rappresenta il simbolo della via mediana che si esaurisce di fronte alla convergenza tattica di Piacentini e Pagano sperimentata proprio nel 1932 con la Città Universitaria, vero e proprio laboratorio per il futuro Stile Littorio. I successivi concorsi e incarichi di fatto non si rivelano più fruttuosi: il concorso per la stazione di Firenze, con Montuori, e il concorso per la stazione marittima di Napoli – per il quale contesta le decisioni della giuria – entrambi nel 1933; il concorso per il ponte Littorio a Roma nel 1935-1936 e i concorsi per l’E42 nel 1937-1938 non contengono più la forza espressiva di un tempo. Perfino i progetti urbanistici, celebrati negli anni precedenti non sortiscono più gli stessi apprezzamenti: il piano regolatore di Sulmona, consegnato a settembre 1933, dopo due anni di lavoro, scatena violente contestazioni che ne impongono una sostanziale revisione.
La creatività di Aschieri ha modo invece di svilupparsi nel campo dell’allestimento: da una parte esordisce, nel 1933, alla prima edizione del Maggio Fiorentino come scenografo per il Nabucco di Verdi, dando inizio ad una fortunata carriera nei maggiori teatri lirici d’Italia. Amico di Luigi Pirandello e Marta Abba, riceve unanimi apprezzamenti per le costruzioni sceniche plastiche ed evocative che fungono da dispositivo per il movimento drammatico dell’opera. A proposito della scenografia di Fedra di Pizzetti, Aschieri riceve i complimenti del suo antico maestro Milani che sottolinea come «il vero classicismo e la sapiente fantasia che hanno ispirato la sua bella realizzazione scenica, fanno ben sperare nell’avvenire dell’arte nostra che non è morta e né morrà». Dall’altra parte riveste insieme a Montuori, nel 1935, il palazzo delle Esposizioni per la Seconda Quadriennale Nazionale d’Arte e cura, nello stesso anno, la decorazione interna del padiglione italiano all’Esposizione Internazionale di Bruxelles. Da un punto di vista didattico è chiamato da Marcello Piacentini nel 1938 nella Facoltà di Architettura a Roma fino al 1943 per il corso di Scenografia, e da Luigi Chiarini nel 1935 nel Centro Sperimentale di Cinematografia a Roma fino al 1937. Per quest’ultimo progetta la nuova sede dell’Istituto in via Tuscolana, in collaborazione con Antonio Valente e Giuseppe Capponi.
Dall’estate 1936 iniziano i lavori per la scenografia e i costumi del film Scipione l’Africano, mostrato per la prima volta al grande pubblico durante la mostra del Cinema di Venezia nel 1937. Il gruppo con cui partecipa ai concorsi dell’E42, composto da Gino Peressutti e Domenico Bernardini, riesce ad ottenere la progettazione del palazzo per la Mostra della Romanità assieme a Cesare Pascoletti, ma l’edificio sarà terminato dopo la guerra. Nel marzo 1943 arriva infine l’ultimo riconoscimento: viene nominato Accademico di merito effettivo presso l’Accademia Nazionale di San Luca e vince un Premio della Reale Accademia d’Italia su indicazione di Piacentini che ne tratteggia così la figura: «è un architetto che ancora sa sognare, e non disprezza l'immaginazione (…) Egli compone le sue architetture senza respingere il monito della nostra grande tradizione, ma con fervore e freschezza, del tutto moderne, esponenti della sua chiara personalità». Muore a Roma nel 1952 dopo un lungo periodo di inattività a causa di una malattia invalidante.
[Alberto Coppo]